UN GIORNO A CASO MA PER SEMPRE.
(4a Puntata)
Non era necessario chiamare Paolo per fissare appuntamento alle sette perché sarebbe stato a quell’ora al posto dove sapevano, comunque, in ogni caso; neve o grandine, terremoto o tifone, maremoto o uragano non sarebbero stati in grado di fermarlo. A Cris ora serviva una voce amica e a Paolo Robba una serata tra amici e un po’ di alcol per buttare giù tutti i semafori rossi, tutti i clacson, tutti gli insulti del capo spedizione.
“Ciao Robba…”
“Pronto…qui non mi prende un cazzo il cell,
aspetta un secondo che mi sposto…
..Oh …mi senti?”
“Si, ok!”
“Ciao bello…”
“Ehi dove sei?”, indagò Cris
“Stò a Linate ancora… che due palle! Ma qui
ho finito, porto il furgone in deposito e ci si becca al Trani..no?”
“Si..si..perfetto”
“…Ehi, Cris…tutto ok?”
Cris rimase sorpreso che Paolo si accorse di
qualcosa di strano, ma apprezzò la sensibilità di una amicizia decennale
“Si..tutto ok…perché?”
“Boh, non so…tu che chiami con il cellulare
anziché mandare i tuoi cazzo di sms…”.
“…dai non ti faccio spendere altri soldi, ci
si becca al Trani dopo..”
“Yes…ciao, ciao!!!...Ah, Cris…”.
“Dimmi”.
“Manda un sms la prossima volta va! Che hai una voce di merda al
telefono!”.
Cris sorrise, forse rise anche un
pò. Concluse la chimata premendo sul tasto raffigurante una cornetta telefonica
rossa. Attraversò Piazzale Cadorna costeggiando la fontana adornata con la
terrificante statua simboleggiante “Ago e filo”, si fermò, la guardò per un
istante chiedendosi come sempre quale genio creato quell'opera d'arte e quale illuminato avesse deciso di piazzarla proprio
lì. Passo oltre dirigendosi verso la la grossa “M” bianca in campo
rosso che indicava la fermata della metropolitana, fu quindi inghiottito nello
stomaco della metropoli per risaltare fuori qualche chilometro più in la in
P.ta Genova. Duecento metri e avrebbe attraversato il ponte di ferro che
scavalcava il Naviglio grande, altri quattrocento metri e sarebbe stato di fronte al Trani.
Il Trani è una vecchia
bottiglieria, “Since 1943” situata alle spalle della zona fashion e di tendenza
dove fanno capolino i baretti affacciati al Naviglio Grande. E’ sito in un vicolo
dove le caratteristiche case di ringhiera sbandierano i loro muri scrostati e
gli intonaci instabili, dove i vestiti sono ancora stesi ad asciugare sui fili
tirati tra i balconi sberleffando le direttive comunali, dove la gente è
ruspante ed il vino economico. Nell’aria frizza ancora il romantico profumo di ligera, dei suoi locch e del Bonarda versato. E’ un locale piccolo, poco
accogliente e fumoso (Si, al Trani si fuma dentro!). Il bancone è antistante
l’ingresso, ha una superficie in ferro e un frontespizio di formica. Dalla
parte dell’oste accoglie due lavandini ricolmi di bicchieri (Si, al Trani i
bicchieri si lavano a mano!) e a lato sono disposti un paio di taglieri di
formaggio grana e salame, pagamento “in natura” dei bottegai dei dintorni. Le
pareti sono ricoperte di bottiglie polverose su scaffali instabili e bucherellati dalle tarme. Il pavimento è unto come può
essere unto solo un maialino sardo prima della cottura. Se chiedi un cocktail
ti rispondono “Che roba!?” Perché al trani si beve solo Bianco Sporco o
Bonarda. Non ti va bene? “Fighetto, vai da un'altra parte!”. I personaggi che
lo abitano sono folcloristici e strambi, una via di mezzo tra i nani del circo
e i marziani dei Visitors. Il Capitano.
Il
Capitano, solo sua madre probabilmente ne conosce il nome di battesimo; è
l’oste, lunghi baffi, occhi profondi ed invacati, un uncino al posto della mano
destra, una giacca blu ed un cappello da capo-vascello; si narra si sia
ritirato sulla terra ferma dopo anni passati in mezzo alle schiume dell’oceano
Pacifico, che a quanto racconta, probabilmente solo colui che lo battezzò così,
cioè il capitano Cook, lo vide pacifico. La mano destra gli fu troncata di
netto da un pescecane che si dice essere stato di 10 metri, il Capitano si
salvò la pellaccia solo dopo aver lottato una notte intera con la bestia, ed
essere sfuggito al suo morso assassino sino allo stremo delle forze dando prova
di profonda virilità, ma, durante le ultime fasi della lotta la sua mano urtò
la multipla fila di denti dell’animale e rimase talmente macellata che si dice
fosse stato lui stesso ad amputarsela non appena in salvo sulla barca. Nella carne, all’estremità
del suo arto, racconta, gli rimase conficcato un dente, lo steso che mostra
alla collana che porta al collo. Una delle varie enarrazioni racconta che abbia
inseguito il suo nemico ittico per anni, per tutti i Mari del sud e che sia
rimasto sconcertato a tal punto quando una sera al tramonto lo vide avvicinarsi
a babordo della sua nave che pianse. Si dice che il capitano stesse gia brandendo
l’arpione tra le mani, e il pescecane dopo essersi avvicinato con grandi
movimenti eleganti allo scafo, affondò un poco per poi far riemergere la testa
grossa come una Fiat 500. I presenti impallidirono, c’è persino chi vomitò
dalla paura, ma il Capitano rimase lì, i due nemici si guardarono per attimi
infiniti, ad un certo punto l’uomo alzò l’arpione, non, intimando il fendente,
bensì proponendo la scoccata al pesce, lo squalo non si mosse e c’è chi disse
persino che accennò con la testa un gesto di assenso. Il Capitano, con gli
occhi lucidi, scoccò il fendente, colpi l’animale proprio in mezzo agli occhi,
si sentì un rumore forte e stridulo mentre la lancia penetrava il cranio, in
pochissimi momenti il nemico affodò, il Capitano fissò il Grande Blu per varie
ore per poi girarsi verso la ciurma e comandare l’issate le vele: “Si torna a
casa”. La leggenda vuole che anche
qualcosa del Capitano sprofondò nell’immensità dell’oceano insieme al suo
nemico, non fu più lo stesso da quel giorno, le malelingue sostengono che sia
solo un vecchio pazzo alcolizzato, ma a Cristian piace pensare che non sia così.
“Ehi, corpo di mille balene, che bevete
ragazzi?!”
“Tre bianchi sporchi, Capitano!”
Al
bancone del bar si era già formata la ressa composta da elementi di ogni tipo,
dal muratore allo studente, dall’extracomunitario, al panettiere, e, in mezzo a
questa marmaglia anche Cristian Beroli, Paolo Robba e Marco Rombi.
“3 Euri, forza! Lattanti!”
“Si, Capitano!” rispose Paolo
entusiasta.
I tre presero il loro bicchieri ed uscirono
nella via dove anche li si era accalcata ormai un folla di persone, si appoggiarono alla muratura antistante il bar con i loro intrugli in mano.
“Ehi…e allora!? Ragas…che si dice della
serata? Sa fuma?” sbottò Marco
“…Ehi l’avete vista quella fighetta che
avevamo di fianco al bancone? Madoooo!!!”
“Eh..eh…Robba…già fatto!”
“Cazzo,
Rombi, ma non è possibile, porca troia, io vorrei proprio sapere come cazzo fai
ad infilargli quattro cazzate e portartele a casa…”
“Si…almeno
a casa, che cazzo faccio ag presenti mè
mama?…ohhh! Sveglia…la camporella…”
“Eh…bravo…fa
così…a trent’anni stò qua è ancora in camporella…primo poi ti becchi qualche
guardone del cazzo che te lo butta nel culo nella tua cazzo di camporella, poi
voglio vedere…magari poi ti piace anche…tu che dici Cris?”
“Ma
non so ne hai provate tante che tante, Marco, che quasi non mi sembrerebbe
strano che cambiassi un po’ abitudini…tanto per variare un po’...” rispose
Cristian
“Eh …scemo!...Vadavia al cu! è…a parte
che sono ventisei gli anni…” replico Marco, “Comunque non sapete che cazzo mi è
successo l’altar dì. Ero ad una festa
lì dell’università… Un sacco di gente…praticamente, niente, carico questa sgarsula, oh! Giuro, due tet gigant…
“Vabbè…comunque…dopo
che mi faccio due coglioni così a cercare di convincere stà qui a farsi pastrugnare un po’, verso le quattro e
passa si arriva un pò al sodo, la spoglio un po’ tutta…”
“…ma
anche tu eri nudo?” replicò Paolo mentre sorseggiava il bianco sporco cercando
di non perdersi le particolari gestualtà dell’amico.
“No,
no, avevo appena tolto la maglietta…culaton!
Comunque,..sono li sul più bello, la stavo scostando quando non mi suona per
sbaglio il clacson muovendosi?…e io a momenti non mi cago adosso?”
“E
tu?” chiese Paolo che stava già per scoppiare a ridere.
“E nient…faccio l’indifferente e mi metto
a sorridere con complicità. Non era passato un secondo che senti una vus ad una decina di metri dietro me ed
una luce che illumina la macchina. Cazzo…oh!
Le dico Vestiti!...”
“Ma
era qualcun altro li imboscato?” domandò Cris.
“Ma
va …era un pirla di metronotte…oh…aveva capito la situazione…sicur, probabilmente era in giro per gli
istituti ed ha sentito il clacson, comunque.. la scena è questa: la tipa che si riveste di colpo in panico, io
con l’usè dur e sto qui che si
avvicina…Che ci fate qua?! Mi chiede quello ed intanto si guarda ben bene
le tette della sgarsola, io non
sapevo che rispondergli…che cazzo gli dici? Non mi viene in mente niente Sono l’idraulico mi hanno chiamato per un
emergenza, a momenti non gli scoppio a ridere in faccia da solo.”
“E
poi?” chiese Paolo.
“Poi,
per fortuna niente, è scoppiato a ridere anche lui?!, Mi fa un Va la pirla! e se n’è andato via. E
comunue stò stronzo se l’è lumata ben bene la tipa”
“Beh,
ma alla fine te la sei incordata o no?!” chiese Paolo.
“Ma
va…stà qua non ha voluto andare a casa, tutta incazzata, ma vaffanculo, allora
ho chiamato la Gianna, che sapevo che era in giro perché l’avevo vista nei bar
in centro ed ho dato due stangate a lei!”
Tutti
scoppiarono a ride.
“Cazzo
dai la Gianna no…ma è un gabinetto da competizione!” sbotto Paolo.
“Oh,
bello c’è il periodo del filetto e quello del lesso, mica è colpa mia se il
filetto me lo fanno solo vedere…, una azzannata al lesso non si nega mai però,
non fatemi i sofisticati, che anche voi non mi sembrate tipi da nouvelle cousine!”
Il
cocktail del Capitano era già entrato in circolo ed i tre avevano già raggiunto
un bel grado di allegria chimica, stavano coricati ed accasciati dalle risate
sulla golf bianca, ed era bello, era liberatorio, era quello che ci voleva dopo
una settimana di lavoro, era tutto quello che avevano.
Marco
Rombi è il più alto della compagnia e sin da piccolo la sua statura è sempre
stata accompagnata da nomignoli più o meno offensivi, per di più, che fino ai
sedici anni, età in cui anche un neo può bastare per essere preso in giro, era
di una magrezza e di un pallore che lo facevano assomigliare per di più ad un
tronco i pioppo che ad un ragazzino. Negli anni della maturità con la barba gli
cominciarono a spuntare anche le spalle da carpentiere di suo padre e fatta
eccezione per un po’di pancetta alcolica, possedeva un fisico che nelle calde
estati passate a prendere il sole al Po, faceva impazzire tutte le ragazzine
del paese. Non è possibile definire Marco uno sportivo, o per lo meno, non nel
senso tradizionale e salutare del termine, visto che i suoi momenti atletici, oltre la degustazione di litri di Negroni e di quantità indicibili di mariujana, possono includere tutte quelle pratiche dove si rischia l’osso del collo. Carattere
impulsivo e di animo sereno il Rombi possiede quella personalità magnetica,
tanto invidiata dal nostro beniamino Cristian, che permette, a quelle rare
persone che la possiedono, di far girare il mondo come più desiderano.
Al
Rombi bastava dire “Ciao” più una sequela di frasi mezze in dialetto e mezze in
italiano per trovare una ragazza, fare un colloquio per trovare lavoro, aprire
la bocca per passare un esame, e fissarti negli occhi per convincerti di
qualunque cosa. La vita per lui è un gioco, un enorme parco divertimenti con
toboga, punching ball e giochi a premi, e lui tornava ogni sera a casa con il
suo orsacchiotto.
E
quella sera il Rombi ne voleva più di uno di orsacchiotti, voleva tutta la
collezione Trudi e per lui ci volle veramente un nonnulla a trascinare i due
compagni di una vita nei meandri delle “perverse” nottate milanesi.
La
Impresa di Robba che schizzava per la circonvallazione interna come un razzo
ignaro dei colore dei semafori, la musica drum and bass che suonava a volumi
spropositati e i neon blu ultra-tamarri uniti alla pizza con le cipolle che
galleggiava su decilitri e decilitri di bianco sporco e birra cominciavano ad
agire negativamente sullo stomaco lavorativamente provato di Cristian. Era
arrivato il momento di passare oltre. La
chicca!!!
Con
modi sofisticati, la sapienza e la maestria di un sommelier dall’esperienza
decennale Paolo Robba dopo aver freneticamente rovistato nello scomparto
“segreto” realizzato originalmente sotto il portacenere elargì una pasticchetta
verde con disegnato il simbolo della pace a tutta la combriccola. Il rombi se la
gettò direttamente nell’esofago prendendola al volo con la bocca dopo averla
lanciata in aria, Robba ne prese una e mezzo, tanto per stare tranquillo.
Cristian se la rigirò tra le mani per una manciata di secondi e poi “…ma chi se ne frega!”.
La
memoria storica non è mai stato un punto forte di Cris, soprattutto riferita
agli anni dell’adolescenza, ma in quella mezz’ora che lo separava dallo sballo
non pensò ad altro che alla prima, e fino a quel momento, ultima volta che
prese “la chicca”.
Era
l’anno dei suoi coscritti, l’anno in cui avrebbe preso la patente, l’anno in
cui secondo le sue previsioni avrebbe finalmente scopato, l’anno dei 18, l’anno
in cui suo padre scopri di essere malato e l’anno in cui il dolore bruciava
forte che gli strappava il cure dal petto, l’anno in cui il 9 Agosto il suo
stomaco assorbì per la prima volta l’MDMA e l’anno in cui avrebbe deciso che
l’estasy non avrebbe fatto più parte della sua vita. Ma si sa, così come
l’effetto svanisce con lo svanire della causa, i buoni propositi sublimano con
la memoria della ragione che ha indotto a formularli.
E così, eccolo là il nostro Cris, seduto sui
sedili ergodinamici dell Hyunday Impreza con l’alettone più grosso mai visto
nella storia di tutti gli alettoni grossi. Lo sguardo fisso che gradualmente
perdeva consistenza, il calore che sale, le paranoie che scendono e poi “…ma chi se ne frega!”.
“Oh
rombi! E’ salita o no?” molestava Robba di continuo.
“Cazzo
si…ma dove andiamo?” replicò Cris.
Si
ritrovò come per magia in discoteca, come per magia si ritrovò un Cubalibre in
mano, più tardi per qualche arcano malefizio si ritrovò la maglietta coperta di
sangue e vomito, ed un energumeno che lo prendeva per il collo, più tardi
ancora era l’energumeno che era coperto di liquido biologico rosso e Rombi era
quello con un piede che pestava la sua faccia.
Poi
Via Tibaldi.
Via
Tibaldi correva estemporanea sotto i piedi di Cristian. La vetrina di un solarium diffondeva orgogliosamente luci ultraviolette sul marciapiede antistante, il ferramenta aveva la serranda
abbassata coperta di scritte a bomboletta, la macelleria musulmana vantava le sue scritte incomprensibili e i lampioni dominavano con il loro collo da giraffa e il loro occhio vigile sul silenzio della città. La lucidità prendeva a a momenti spazio nella testa di Beroli ma il tentativo di poter ricostruire, anche parzialmente, la serata
sarebbe stata un impresa inutile. Solo pochi attimi prima Paolo Robba aveva
scaricato il nostro eroe in piazzale Lodi a modo che in pochi minuti avesse
potuto raggiungere i Navigli senza far rischiare all’amico eventuali spiacevoli
incontri con le forze dell’ordine normalmente di posta all’ incrocio
dell’alzaia pavese, ma anche quello era già un ricordo vago. L’MDMA aveva dato
la forza, l’acido lisergico aveva creato l’ambiente, ma ora l’energia era
calata ed il nostro avatar possedeva solo le magie allucinogene che erano
sfuggite al controllo ogni passo risultava una montagna da scalare e la
tranquillità una meta irraggiungibile.
Arrivato
all’altezza del naviglio pavese si accorse quasi all’ultimo istante che la
strada che conduceva al suo bolide era ricoperta da 20 cm di acqua stagnante
fuoriuscita dal canale. (Peccato che fosse arrivato in metro e non in auto, ma non aveva ancora realizzato. N.d.A). Si fermò. Si guardò intorno. “Ma possibile che nessuno abbia avvertito chi di dovere per ristabilire
la situazione?”. Si girò nuovamente, fissò nuovamente la pozzanghera, era
incredulo che nessuno avesse avvertito i pompieri del problema, di fronte a lui
c’era un lago di acqua! Si guardò intorno nuovamente. Cercò di chiedere
informazioni ad un altro nottambulo come lui, ma ottenne per risposta solo un “…ma vaffanculo” …probabilmente era sbronzo.
Cristian replicò con un …vacci tu
vaffanculo. Si, ma la situazione
era critica, come andare a casa? come
passare l’inondazione? Cristian si girò nuovamente e vide l’acqua muoversi,
come se qualcosa si agitasse sotto. Aguzzò lo sguardo, fissò delle piccole onde
che increspavano l’acqua e che si dirigevano verso di lui. Si scansò. Fece un passo
indietro. D’un balzo, una frazione di secondo, un frammento di frazione di
secondo e due enormi fauci uscirono dall’acqua e si proiettarono veloci contro
di lui. Cristian in quei pochi secondi ne fu sicuro, era uno squalo. Era per
forza uno squalo bianco, il Capitano insegna; l’unico che può saltare fuori
dall’acqua.