TITOLO ROMANZO

UN GIORNO A CASO MA PER SEMPRE.
(Gli episodi vengono pubblicati in versione ridotta rispetto all'originale)

martedì 18 giugno 2013

Un giorno a caso ma per sempre (4a Puntata)



UN GIORNO A CASO MA PER SEMPRE.


(4a Puntata)



Non era necessario chiamare Paolo per fissare appuntamento alle sette perché sarebbe stato a quell’ora al posto dove sapevano, comunque, in ogni caso; neve o grandine, terremoto o tifone, maremoto o uragano non sarebbero stati in grado di fermarlo. A Cris ora serviva una voce amica e a Paolo Robba una serata tra amici e un po’ di alcol per buttare giù tutti i semafori rossi, tutti i clacson, tutti gli insulti del capo spedizione.
“Ciao Robba…”
“Pronto…qui non mi prende un cazzo il cell, aspetta un secondo che mi sposto…
..Oh …mi senti?”
“Si, ok!”
“Ciao bello…”
“Ehi dove sei?”, indagò Cris
“Stò a Linate ancora… che due palle! Ma qui ho finito, porto il furgone in deposito e ci si becca al Trani..no?”
“Si..si..perfetto”
“…Ehi, Cris…tutto ok?”
Cris rimase sorpreso che Paolo si accorse di qualcosa di strano, ma apprezzò la sensibilità di una amicizia decennale
“Si..tutto ok…perché?”
“Boh, non so…tu che chiami con il cellulare anziché mandare i tuoi cazzo di sms…”.
“…dai non ti faccio spendere altri soldi, ci si becca al Trani dopo..”
“Yes…ciao, ciao!!!...Ah, Cris…”.
“Dimmi”.
“Manda un sms la prossima volta va! Che hai una voce di merda al telefono!”.
Cris sorrise, forse rise anche un pò. Concluse la chimata premendo sul tasto raffigurante una cornetta telefonica rossa. Attraversò Piazzale Cadorna costeggiando la fontana adornata con la terrificante statua simboleggiante “Ago e filo”, si fermò, la guardò per un istante chiedendosi come sempre quale genio creato quell'opera d'arte e quale illuminato avesse deciso di piazzarla proprio lì. Passo oltre dirigendosi verso la la grossa “M” bianca in campo rosso che indicava la fermata della metropolitana, fu quindi inghiottito nello stomaco della metropoli per risaltare fuori qualche chilometro più in la in P.ta Genova. Duecento metri e avrebbe attraversato il ponte di ferro che scavalcava il Naviglio grande, altri quattrocento metri e sarebbe stato di fronte al Trani.

Il Trani è una vecchia bottiglieria, “Since 1943” situata alle spalle della zona fashion e di tendenza dove fanno capolino i baretti affacciati al Naviglio Grande. E’ sito in un vicolo dove le caratteristiche case di ringhiera sbandierano i loro muri scrostati e gli intonaci instabili, dove i vestiti sono ancora stesi ad asciugare sui fili tirati tra i balconi sberleffando le direttive comunali, dove la gente è ruspante ed il vino economico. Nell’aria frizza ancora il romantico profumo di ligera, dei suoi locch e del Bonarda versato. E’ un locale piccolo, poco accogliente e fumoso (Si, al Trani si fuma dentro!). Il bancone è antistante l’ingresso, ha una superficie in ferro e un frontespizio di formica. Dalla parte dell’oste accoglie due lavandini ricolmi di bicchieri (Si, al Trani i bicchieri si lavano a mano!) e a lato sono disposti un paio di taglieri di formaggio grana e salame, pagamento “in natura” dei bottegai dei dintorni. Le pareti sono ricoperte di bottiglie polverose su scaffali instabili e bucherellati dalle tarme. Il pavimento è unto come può essere unto solo un maialino sardo prima della cottura. Se chiedi un cocktail ti rispondono “Che roba!?” Perché al trani si beve solo Bianco Sporco o Bonarda. Non ti va bene? “Fighetto, vai da un'altra parte!”. I personaggi che lo abitano sono folcloristici e strambi, una via di mezzo tra i nani del circo e i marziani dei Visitors. Il Capitano.
Il Capitano, solo sua madre probabilmente ne conosce il nome di battesimo; è l’oste, lunghi baffi, occhi profondi ed invacati, un uncino al posto della mano destra, una giacca blu ed un cappello da capo-vascello; si narra si sia ritirato sulla terra ferma dopo anni passati in mezzo alle schiume dell’oceano Pacifico, che a quanto racconta, probabilmente solo colui che lo battezzò così, cioè il capitano Cook, lo vide pacifico. La mano destra gli fu troncata di netto da un pescecane che si dice essere stato di 10 metri, il Capitano si salvò la pellaccia solo dopo aver lottato una notte intera con la bestia, ed essere sfuggito al suo morso assassino sino allo stremo delle forze dando prova di profonda virilità, ma, durante le ultime fasi della lotta la sua mano urtò la multipla fila di denti dell’animale e rimase talmente macellata che si dice fosse stato lui stesso ad amputarsela non appena in  salvo sulla barca. Nella carne, all’estremità del suo arto, racconta, gli rimase conficcato un dente, lo steso che mostra alla collana che porta al collo. Una delle varie enarrazioni racconta che abbia inseguito il suo nemico ittico per anni, per tutti i Mari del sud e che sia rimasto sconcertato a tal punto quando una sera al tramonto lo vide avvicinarsi a babordo della sua nave che pianse. Si dice che il capitano stesse gia brandendo l’arpione tra le mani, e il pescecane dopo essersi avvicinato con grandi movimenti eleganti allo scafo, affondò un poco per poi far riemergere la testa grossa come una Fiat 500. I presenti impallidirono, c’è persino chi vomitò dalla paura, ma il Capitano rimase lì, i due nemici si guardarono per attimi infiniti, ad un certo punto l’uomo alzò l’arpione, non, intimando il fendente, bensì proponendo la scoccata al pesce, lo squalo non si mosse e c’è chi disse persino che accennò con la testa un gesto di assenso. Il Capitano, con gli occhi lucidi, scoccò il fendente, colpi l’animale proprio in mezzo agli occhi, si sentì un rumore forte e stridulo mentre la lancia penetrava il cranio, in pochissimi momenti il nemico affodò, il Capitano fissò il Grande Blu per varie ore per poi girarsi verso la ciurma e comandare l’issate le vele: “Si torna a casa”.  La leggenda vuole che anche qualcosa del Capitano sprofondò nell’immensità dell’oceano insieme al suo nemico, non fu più lo stesso da quel giorno, le malelingue sostengono che sia solo un vecchio pazzo alcolizzato, ma a Cristian piace pensare che non sia così.
“Ehi, corpo di mille balene, che bevete ragazzi?!”
“Tre bianchi sporchi, Capitano!”
Al bancone del bar si era già formata la ressa composta da elementi di ogni tipo, dal muratore allo studente, dall’extracomunitario, al panettiere, e, in mezzo a questa marmaglia anche Cristian Beroli, Paolo Robba e Marco Rombi.
“3 Euri, forza! Lattanti!”
“Si, Capitano!” rispose Paolo entusiasta.
 I tre presero il loro bicchieri ed uscirono nella via dove anche li si era accalcata ormai un folla di persone, si appoggiarono alla muratura antistante il bar con i loro intrugli in mano.
“Ehi…e allora!? Ragas…che si dice della serata? Sa fuma?” sbottò Marco
“…Ehi l’avete vista quella fighetta che avevamo di fianco al bancone? Madoooo!!!”
“Eh..eh…Robba…già fatto!”
“Cazzo, Rombi, ma non è possibile, porca troia, io vorrei proprio sapere come cazzo fai ad infilargli quattro cazzate e portartele a casa…”
“Si…almeno a casa, che cazzo faccio ag presenti mè mama?…ohhh! Sveglia…la camporella…”
“Eh…bravo…fa così…a trent’anni stò qua è ancora in camporella…primo poi ti becchi qualche guardone del cazzo che te lo butta nel culo nella tua cazzo di camporella, poi voglio vedere…magari poi ti piace anche…tu che dici Cris?”
“Ma non so ne hai provate tante che tante, Marco, che quasi non mi sembrerebbe strano che cambiassi un po’ abitudini…tanto per variare un po’...” rispose Cristian
“Eh …scemo!...Vadavia al cu! è…a parte che sono ventisei gli anni…” replico Marco, “Comunque non sapete che cazzo mi è successo l’altar dì. Ero ad una festa lì dell’università… Un sacco di gente…praticamente, niente, carico questa sgarsula, oh! Giuro, due tet gigant
“Vabbè…comunque…dopo che mi faccio due coglioni così a cercare di convincere stà qui a farsi pastrugnare un po’, verso le quattro e passa si arriva un pò al sodo, la spoglio un po’ tutta…”
“…ma anche tu eri nudo?” replicò Paolo mentre sorseggiava il bianco sporco cercando di non perdersi le particolari gestualtà dell’amico.
“No, no, avevo appena tolto la maglietta…culaton! Comunque,..sono li sul più bello, la stavo scostando quando non mi suona per sbaglio il clacson muovendosi?…e io a momenti non mi cago adosso?”
“E tu?” chiese Paolo che stava già per scoppiare a ridere.
E nient…faccio l’indifferente e mi metto a sorridere con complicità. Non era passato un secondo che senti una vus ad una decina di metri dietro me ed una luce che illumina la macchina. Cazzo…oh! Le dico Vestiti!...”
“Ma era qualcun altro li imboscato?” domandò Cris.
“Ma va …era un pirla di metronotte…oh…aveva capito la situazione…sicur, probabilmente era in giro per gli istituti ed ha sentito il clacson, comunque.. la scena è questa:  la tipa che si riveste di colpo in panico, io con l’usè dur e sto qui che si avvicina…Che ci fate qua?!  Mi chiede quello ed intanto si guarda ben bene le tette della sgarsola, io non sapevo che rispondergli…che cazzo gli dici? Non mi viene in mente niente Sono l’idraulico mi hanno chiamato per un emergenza, a momenti non gli scoppio a ridere in faccia da solo.”
“E poi?” chiese Paolo.
“Poi, per fortuna niente, è scoppiato a ridere anche lui?!, Mi fa un Va la pirla! e se n’è andato via. E comunue stò stronzo se l’è lumata ben bene la tipa”
“Beh, ma alla fine te la sei incordata o no?!” chiese Paolo.
“Ma va…stà qua non ha voluto andare a casa, tutta incazzata, ma vaffanculo, allora ho chiamato la Gianna, che sapevo che era in giro perché l’avevo vista nei bar in centro ed ho dato due stangate a lei!”
Tutti scoppiarono a ride.
“Cazzo dai la Gianna no…ma è un gabinetto da competizione!” sbotto Paolo.
“Oh, bello c’è il periodo del filetto e quello del lesso, mica è colpa mia se il filetto me lo fanno solo vedere…, una azzannata al lesso non si nega mai però, non fatemi i sofisticati, che anche voi non mi sembrate tipi da nouvelle cousine!”
Il cocktail del Capitano era già entrato in circolo ed i tre avevano già raggiunto un bel grado di allegria chimica, stavano coricati ed accasciati dalle risate sulla golf bianca, ed era bello, era liberatorio, era quello che ci voleva dopo una settimana di lavoro, era tutto quello che avevano.

Marco Rombi è il più alto della compagnia e sin da piccolo la sua statura è sempre stata accompagnata da nomignoli più o meno offensivi, per di più, che fino ai sedici anni, età in cui anche un neo può bastare per essere preso in giro, era di una magrezza e di un pallore che lo facevano assomigliare per di più ad un tronco i pioppo che ad un ragazzino. Negli anni della maturità con la barba gli cominciarono a spuntare anche le spalle da carpentiere di suo padre e fatta eccezione per un po’di pancetta alcolica, possedeva un fisico che nelle calde estati passate a prendere il sole al Po, faceva impazzire tutte le ragazzine del paese. Non è possibile definire Marco uno sportivo, o per lo meno, non nel senso tradizionale e salutare del termine, visto che i suoi momenti atletici, oltre la degustazione di litri di Negroni e di quantità indicibili di mariujana, possono includere tutte quelle pratiche dove si rischia l’osso del collo. Carattere impulsivo e di animo sereno il Rombi possiede quella personalità magnetica, tanto invidiata dal nostro beniamino Cristian, che permette, a quelle rare persone che la possiedono, di far girare il mondo come più desiderano.
Al Rombi bastava dire “Ciao” più una sequela di frasi mezze in dialetto e mezze in italiano per trovare una ragazza, fare un colloquio per trovare lavoro, aprire la bocca per passare un esame, e fissarti negli occhi per convincerti di qualunque cosa. La vita per lui è un gioco, un enorme parco divertimenti con toboga, punching ball e giochi a premi, e lui tornava ogni sera a casa con il suo orsacchiotto.
E quella sera il Rombi ne voleva più di uno di orsacchiotti, voleva tutta la collezione Trudi e per lui ci volle veramente un nonnulla a trascinare i due compagni di una vita nei meandri delle “perverse” nottate milanesi.

La Impresa di Robba che schizzava per la circonvallazione interna come un razzo ignaro dei colore dei semafori, la musica drum and bass che suonava a volumi spropositati e i neon blu ultra-tamarri uniti alla pizza con le cipolle che galleggiava su decilitri e decilitri di bianco sporco e birra cominciavano ad agire negativamente sullo stomaco lavorativamente provato di Cristian. Era arrivato il momento di passare oltre. La chicca!!!
Con modi sofisticati, la sapienza e la maestria di un sommelier dall’esperienza decennale Paolo Robba dopo aver freneticamente rovistato nello scomparto “segreto” realizzato originalmente sotto il portacenere elargì una pasticchetta verde con disegnato il simbolo della pace a tutta la combriccola. Il rombi se la gettò direttamente nell’esofago prendendola al volo con la bocca dopo averla lanciata in aria, Robba ne prese una e mezzo, tanto per stare tranquillo. Cristian se la rigirò tra le mani per una manciata di secondi e poi “…ma chi se ne frega!”.
La memoria storica non è mai stato un punto forte di Cris, soprattutto riferita agli anni dell’adolescenza, ma in quella mezz’ora che lo separava dallo sballo non pensò ad altro che alla prima, e fino a quel momento, ultima volta che prese “la chicca”.
Era l’anno dei suoi coscritti, l’anno in cui avrebbe preso la patente, l’anno in cui secondo le sue previsioni avrebbe finalmente scopato, l’anno dei 18, l’anno in cui suo padre scopri di essere malato e l’anno in cui il dolore bruciava forte che gli strappava il cure dal petto, l’anno in cui il 9 Agosto il suo stomaco assorbì per la prima volta l’MDMA e l’anno in cui avrebbe deciso che l’estasy non avrebbe fatto più parte della sua vita. Ma si sa, così come l’effetto svanisce con lo svanire della causa, i buoni propositi sublimano con la memoria della ragione che ha indotto a formularli.
 E così, eccolo là il nostro Cris, seduto sui sedili ergodinamici dell Hyunday Impreza con l’alettone più grosso mai visto nella storia di tutti gli alettoni grossi. Lo sguardo fisso che gradualmente perdeva consistenza, il calore che sale, le paranoie che scendono e poi “…ma chi se ne frega!”.
“Oh rombi! E’ salita o no?” molestava Robba di continuo.
“Cazzo si…ma dove andiamo?” replicò Cris.
Si ritrovò come per magia in discoteca, come per magia si ritrovò un Cubalibre in mano, più tardi per qualche arcano malefizio si ritrovò la maglietta coperta di sangue e vomito, ed un energumeno che lo prendeva per il collo, più tardi ancora era l’energumeno che era coperto di liquido biologico rosso e Rombi era quello con un piede che pestava la sua faccia.
Poi Via Tibaldi.
Via Tibaldi correva estemporanea sotto i piedi di Cristian. La vetrina di un solarium diffondeva orgogliosamente luci ultraviolette sul marciapiede antistante, il ferramenta aveva la serranda abbassata coperta di scritte a bomboletta, la macelleria musulmana vantava le sue scritte incomprensibili e i lampioni dominavano con il loro collo da giraffa e il loro occhio vigile sul silenzio della città. La lucidità prendeva a a momenti spazio nella testa di Beroli ma il tentativo di poter ricostruire, anche parzialmente, la serata sarebbe stata un impresa inutile. Solo pochi attimi prima Paolo Robba aveva scaricato il nostro eroe in piazzale Lodi a modo che in pochi minuti avesse potuto raggiungere i Navigli senza far rischiare all’amico eventuali spiacevoli incontri con le forze dell’ordine normalmente di posta all’ incrocio dell’alzaia pavese, ma anche quello era già un ricordo vago. L’MDMA aveva dato la forza, l’acido lisergico aveva creato l’ambiente, ma ora l’energia era calata ed il nostro avatar possedeva solo le magie allucinogene che erano sfuggite al controllo ogni passo risultava una montagna da scalare e la tranquillità una meta irraggiungibile.
Arrivato all’altezza del naviglio pavese si accorse quasi all’ultimo istante che la strada che conduceva al suo bolide era ricoperta da 20 cm di acqua stagnante fuoriuscita dal canale. (Peccato che fosse arrivato in metro e non in auto, ma non aveva ancora realizzato. N.d.A). Si fermò. Si guardò intorno. “Ma possibile che nessuno abbia avvertito chi di dovere per ristabilire la situazione?”. Si girò nuovamente, fissò nuovamente la pozzanghera, era incredulo che nessuno avesse avvertito i pompieri del problema, di fronte a lui c’era un lago di acqua! Si guardò intorno nuovamente. Cercò di chiedere informazioni ad un altro nottambulo come lui, ma ottenne per risposta solo un “…ma vaffanculo” …probabilmente era sbronzo. Cristian replicò con un …vacci tu vaffanculo. Si, ma la situazione era critica, come andare a casa? come passare l’inondazione? Cristian si girò nuovamente e vide l’acqua muoversi, come se qualcosa si agitasse sotto. Aguzzò lo sguardo, fissò delle piccole onde che increspavano l’acqua e che si dirigevano verso di lui. Si scansò. Fece un passo indietro. D’un balzo, una frazione di secondo, un frammento di frazione di secondo e due enormi fauci uscirono dall’acqua e si proiettarono veloci contro di lui. Cristian in quei pochi secondi ne fu sicuro, era uno squalo. Era per forza uno squalo bianco, il Capitano insegna; l’unico che può saltare fuori dall’acqua.